L'emigrazione degli italiani durante il fascismo
Filosofia razionalista Corrente filosofica nata alla fine del XVII secolo, in cui la ragione era l'unico mezzo per l'analisi della realtà delle cose.
La prima strada fu almeno formalmente tentata. Limiti oggettivi si opponevano tuttavia, oltre che per le naturali caratteristiche geo-morfologiche del Paese, per la carenza di capitali.
La seconda alternativa venne progressivamente scartata. Se, nel 1926, Mussolini definiva ancora l'emigrazione "una necessità sia pure triste e dolorosa, ma una necessità ... utile peraltro a migliorare le relazioni economiche e commerciali della madre patria", negli anni successivi, il governo fascista seguì una politica di volontaria restrizione del fenomeno migratorio. Non rimaneva quindi che la via della colonizzazione, o meglio di quella che veniva definita "emigrazione tutelata".

Bersaglieri entrano in pompa magna a Macallé nel 1936
Non solo l'emigrante veniva accuratamente selezionato, perché potesse fungere da strumento di propagazione dell'ideologia fascista, ma le sue attività all'estero trovavano spesso un supporto finanziario nei capitali erogati dall'Istituto di Credito per gli Italiani all'Estero.