Il significato del Sacre du Printemps da un punto di vista storico (seconda parte)
In nome di un corpo naturale si battevano Isadora Duncan e Mary Wigman. La prima cercava nella danza un corpo in cui l’elemento naturale risultava nobilitato dalla civiltà, contrapposto al corpo primitivo, nello spirito di quell’ideale
In nome di un corpo naturale si battevano Isadora Duncan e Mary Wigman.
La prima cercava nella danza un corpo in cui l’elemento naturale risultava nobilitato dalla civiltà, contrapposto al corpo primitivo, nello spirito di quell’ideale greco cui spesso faceva appello. Per la Duncan la forza di gravità aveva un ruolo fondamentale, il terreno era suo partner, poiché le forniva la spinta iniziale per iniziare il movimento. Preferiva il movimento ondulatorio per la prevalenza, nella natura, di questo movimento, per suggerire una fusione tra corpo e anima.
La Wigman realizzava movimenti aguzzi e angolosi, nell’idea che la danza dovesse scaturire da una necessità interiore, per rendere visibile ciò che è invisibile.
I movimenti della coreografia di Niziskij presentavano un corpo che si spezzava in segmenti che agivano per opposizione, attratto da una terra che sembrava avere una forza di gravità molto maggiore di quella a cui siamo abituati, come di una materia appena baciata dallo spirito, per la quale è particolarmente difficoltoso animarsi.
Le interpretazioni del Sacre che seguirono le due guerre mondiali portarono una maggiore armonia nelle rappresentazioni, un’attitudine innovativa che non ripudiava la tradizione, pur impegnata nella ricerca di un’espressione estetica fuori dai confini tradizionali. L’arrivo in occidente delle conoscenze orientali, legate alle arti marziali e allo yoga contribuiscono a creare una nuova cultura del corpo, e dal violento rifiuto del passato dell’Ottocento si passa alle neoavanguardie che riescono a concepire il corpo come un organismo misto di artificio, tecnologia e natura.