La danza oltre lo spazio ed il tempo

Nel corso del Novecento, la scoperta dell’autosufficienza espressiva di un corpo unitario, incarnazione e rivelazione del principio vitale, conduce ad una visione della danza come esperienza in grado di trascendere i limiti dello spazio e del tempo, per crearsi su proprie leggi e processi simbolici. Questo movimento, iniziato con Delsarte e nutritosi in seguito con ulteriori sviluppi del pensiero filosofico, aveva cominciato ad esprimersi attraverso le preziose intuizioni della Duncan, della St. Denis e di Ted Shawn, che hanno trovato un terreno fertile in una vera e propria ricerca sistematica: recuperato il movimento di un corpo vivo, il pensiero estetico sulla danza diviene scienza, tecnica, processo di indagine sui nessi causali universali che mettono in relazione il corpo ed il movimento; nel contempo, entra sempre più all’interno del sistema dello spettacolo l’idea di una forte connessione tra educazione ed espressione sulla scena. Ed è proprio su questa linea che abbiamo visto che si sono orientati Dalcroze, Laban, la Wigman e Doris Humphrey.
Inoltre, possiamo sottolineare che la visione dell’uomo come una corporeità non più unicamente regolata da strutture biologiche, ma come incarnazione dell’ordine del linguaggio, porta a focalizzarci su un’unità che si manifesta in modo tensionale: un corpo che danza esprime la comunione tra fisico e spirituale, ed offre la possibilità di cogliere l’intenzionalità originaria che da vita all’espressione linguistica, intesa come “atto fondativo della comunicazione significante”. Il nostro corpo, oltre ad essere uno spazio espressivo, è pertanto l’origine di tutti gli altri, è ciò che mostra vivificandoli nel tempo e nello spazio i significati racchiusi nel nostro essere più profondo.