Segue -> Cap.4 Le richieste del contribuente
E) L'ORDINATIVO DI PAGAMENTO. 1) L'art. 44, comma primo, DPR n. 602/73 cit. prevede, per il pagamento degli interessi, soltanto " la data dell'ordinativo emesso " e, giustamente, la Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con l'importante e condivisibile sentenza n. 4760 del 30/03/2001
E) L'ORDINATIVO DI PAGAMENTO.
1) L'art. 44, comma primo, DPR n. 602/73 cit. prevede, per il pagamento degli interessi, soltanto " la data dell'ordinativo emesso " e, giustamente, la Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con l'importante e condivisibile sentenza n. 4760 del 30/03/2001 , ha precisato che il senso da attribuire al suddetto riferimento è quello che soltanto con la notifica del provvedimento il contribuente ha effettiva conoscenza del contenuto del suddetto ordinativo e, quindi, fino a quella data devono essere corrisposti gli interessi.
Occorre riportare integralmente il concetto esposto dai giudici di legittimità per la chiarezza e la lucidità dimostrata .
"La volontà legislativa deve essere ricostruita in ragione dei canoni costituzionali di razionalità, uguaglianza e buon andamento della Pubblica Amministrazione (ai quali si richiama anche il recente Statuto del contribuente , art. 1, comma 1, Legge 27 luglio 2000 n. 212); la norma, quindi, deve essere esaminata non soltanto nell'ottica degli interessi erariali ma anche in quella degli interessi del contribuente.
Anche quando, come nella specie, si tratti di leggi in senso sostanziale emanate dal Governo su delega parlamentare.
Anzi, proprio quando si tratti di " leggi di parte ", la lettura costituzionale deve essere più penetrante .
La tesi dell'Amministrazione finanziaria non può essere accolta perché non tiene conto dei diritti e delle aspettative dei contribuenti.
Infatti, se bastasse la semplice firma dell'ordinativo di pagamento per bloccare la liquidazione degli interessi, anche se il documento dovesse poi rimanere giacente in un cassetto di qualche ufficio finanziario, la norma si presterebbe ad ogni tipo di abuso, senza alcuna possibilità di controllo e di tutela da parte del contribuente.
Inoltre, legittimerebbe una sorta di " espropriazione " ad libitum del diritto del contribuente stesso a percepire gli interessi, fino a quando qualcuno non ritenga che sia giunto il momento della notifica.
Soltanto uno Stato inefficiente ed autoritario può aspirare a compensare le proprie eventuali carenze organizzative con una legislazione, o una giurisprudenza, "protezionistica", che disconosca cioè i diritti del cittadino fino a quando non siano maturi i tempi della burocrazia.
Uno Stato moderno che operi secondo criteri di efficienza e di economia , che non ha timore di porsi su un piano di parità con il cittadino (non più suddito), tanto da formalizzarne e tutelarne i diritti inviolabili (almeno in linea di principio) nei confronti del fisco con un apposito statuto (legge n. 212/2000), non può poi pretendere che i tempi dei pagamenti a favore dei contribuenti siano affidati alla " buona volontà " dei funzionari incaricati, senza alcuna possibilità di rivalsa da parte del creditore (salvo, evidentemente, il caso di dolo o colpa grave).
Tanto più che, invece, i termini di pagamento in favore del fisco sono scanditi su tempi rigidamente scadenzati.
Dal punto di vista sostanziale, i rapporti dare-avere tra fisco e contribuente devono essere inquadrati nell'ambito dei principi della integrità patrimoniale del contribuente , fissati dall'art. 8 della legge n. 212/2000, che esordisce stabilendo che "l'obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione" (comma 1), riconoscendo implicitamente la par condicio del dare e dell'avere a partire dal momento della loro coesistenza (art. 1242 c.c.).
Soltanto con la notifica del provvedimento il contribuente ha conoscenza del contenuto dell'ordinativo di pagamento e può, eventualmente, adire le vie legali.
In definitiva, l'art. 44 del DPR n. 602/1973 deve essere interpretato nel senso che gli interessi decorrono fino alla data di emissione dell'ordinativo, in quanto ritualmente e tempestivamente notificato .
Tale conclusione è confortata, oggi, anche dal principio di "conoscenza degli atti" , sancito dall'art. 6 della già citata legge n. 212/2000.
Il comma 1 della norma citata dispone testualmente che "l'Amministrazione finanziaria deve assicurare l'effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati".
Quindi, prima che il contribuente abbia conoscenza degli atti che incidono sulla sua posizione debitoria o creditoria nei confronti del fisco, gli atti stessi non possono produrre effetti".
Ho voluto riportare per intero le argomentazioni svolte dai giudici di legittimità sia perché hanno più volte ribadito il concetto di parità tra il fisco ed il cittadino-contribuente ( non più suddito ) sia per l'inequivocabile valore interpretativo delle norme espresse dallo Statuto del contribuente , che nella pratica spesso vengono, purtroppo, dolosamente ignorate.
Correttamente scrive il prof. Glendi (in Corriere Tributario n. 33/2000, pag. 2416, e "Un varco per lo Statuto su tutte le norme tributarie", in Guida normativa n. 65/2001, pag. 38): "com'è noto, sul piano della gerarchia delle fonti, la legge n. 212/2000 non è norma di rango costituzionale. Tuttavia, proprio attraverso il suo comma 1, essa si autorafforza nell'ambito della legislazione subcostituzionale, al massimo di quanto sia oggi consentito, qualificando le disposizioni ivi contenute quali " principi generali dell'ordinamento tributario ", "in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione" e ammettendone future deroghe o modifiche "solo espressamente" e "mai da leggi speciali".
Se, come pare plausibile, grazie a questo disposto, sarà consentito il sindacato di costituzionalità di ogni normativa contraria di pari grado, alla stregua del principio di razionalità e di affidamento consacrato dall'art. 3 della Costituzione, è chiaro che l'art. 1, comma 1, dello Statuto assumerà, per ciò stesso, una valenza cruciale rispetto a tutte le altre disposizioni che lo compongono, ponendosi alla base di esse e valorizzandone l'effettiva portata e la reale efficacia".
2) I suddetti validi principi, però, ultimamente sono stati ridimensionati dalla Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con la sentenza n. 4235 del 02/03/2004 , che, in sostanza, ha stabilito che:
- innanzitutto, anche per i rimborsi IVA è applicabile la regola dell'art. 44 DPR n. 602/73 ; tale previsione, lungi dall'essere eccezionale, appare la regola nel diritto tributario, posta la particolare natura dell'obbligazione e le modalità vincolate dell'adempimento;
- di conseguenza, soltanto con l'emissione dell'ordinativo o mandato di rimborso l'Amministrazione ha eseguito la prestazione dovuta; l'eventuale ( abnorme ) ritardo nell'esecuzione del detto mandato è fonte di responsabilità per il tesoriere e non per l'Amministrazione finanziaria dello Stato;
- la precedente sentenza n. 4760 conferma che detti interessi vanno computati fino alla data di emissione del mandato di pagamento, il quale deve essere comunicato in un termine ragionevole al contribuente, ma non se ne può inferire che il mandato di pagamento debba liquidare gli interessi fino alla data della sua comunicazione; per cui, ogni volta, il contribuente, in sede giudiziaria, deve dimostrare il ritardo abnorme ed arbitrario nell'accreditamento delle somme dovute, tale da porre il contribuente stesso alla mercè del tesoriere (probatio diabolica!).
E' auspicabile che quest'ultima sentenza della Corte di Cassazione (la n. 4235/2004) rimanga isolata e continuino, invece, a confermarsi i sani e corretti principi esposti nella precedente sentenza n. 4760/2001 cit. .
3) Infine, sempre in materia di interessi relativi ai rimborsi IVA, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4767 del 09/03/2004 della Sezione Tributaria, ha stabilito che non è possibile, a differenza di quanto previsto in materia civilistica , l'imputazione del pagamento parziale di un rimborso IVA prima agli interessi e, per la parte eccedente, al capitale.
Secondo i giudici di legittimità, infatti, le norme fiscali, a differenza di quelle civilistiche, non contengono regole espresse sulla imputazione, al capitale o agli interessi, del rimborso parziale eseguito dall'amministrazione debitrice, alla quale è demandato il compimento di procedere alle operazioni di liquidazione.
L'art. 1194 c.c. dispone che il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore.
Il pagamento fatto in conto capitale ed interessi deve essere imputato prima agli interessi.
Questa regola civilistica , però, non è applicabile in tema di rimborsi fiscali .
Non a caso, il potere di accertare e liquidare la somma da rimborsare al contribuente è attribuita esclusivamente al fisco , senza che vi sia alcuna possibilità di intervento da parte del creditore, proprio per la particolare natura dell'obbligazione tributaria rispetto a quella civilistica (si rinvia all'articolo di Sergio Trovato, in Il Sole 24-Ore del 06/04/2004, pag. 26 ).
Inoltre, la Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con la sentenza n. 10653 del 03/08/2001 , ha ribadito l'incompatibilità delle due discipline, civilistiche e tributarie. Infatti, nella disciplina tributaria, come emerge dalla lettura degli artt. 44 e 44-bis DPR n. 602/1973, la legge stabilisce il dies a quo e quello ad quem ed inoltre, nel procedimento di rimborso di imposta, quale disciplinato dalla legge tributaria, non è nemmeno ipotizzabile un rimborso parziale.
Infatti, sempre in base alla succitata sentenza, la disciplina tributaria prevede la liquidazione contestuale del capitale e dei relativi interessi per titoli distinti ed entro limiti quantitativi e temporali specificamente prefissati, sicchè, al pari di quello di liquidazione, anche il potere di imputazione del pagamento, al capitale ed agli interessi, è attribuito dalla legge esclusivamente all'Amministrazione finanziaria.