IL CINEMA ITALIANO
Recessione economica: è una fase di rallentamento della crescita economica, causato da molteplici fattori: alto
Il periodo della
Seconda Guerra Mondiale fu determinante per il cinema italiano ,
perché cominciò a delinearsi, in film come Uomini sul
fondo (1941) di De Robertis, e Quattro passi fra le nuvole (1942) di
Blasetti, il neorealismo.
Nel secondo dopoguerra, l'agognata libertà d'espressione dopo
vent'anni di dittatura fascista, la simultanea maturità di alcuni
cineasti geniali, la scarsità di mezzi e la necessità
di girare per le strade, dato che gli studi di Cinecittà erano
occupati dai profughi, furono tra gli elementi che diedero l'impulso
al definitivo sviluppo del cinema italiano neorealista.
Il cinema neorealista non svolse solo il compito di aprire una finestra
sulla realtà, di denunciare senza retorica i mali che affliggevano
il nostro Paese, di raccontare con l'occhio del cronista la guerra,
l'occupazione, la lotta partigiana e la liberazione. La sua funzione
più importante fu di accogliere l'imprevisto, il minimo dettaglio,
di riuscire a coniugare alle volte il tempo filmico con quello reale,
dando la dovuta importanza a tutti gli atti dell'uomo.
Roma città aperta (1945) di Roberto
Rossellini (con Federico Fellini
e Amidei come sceneggiatori), presentando Roma sotto il tallone nazista,
inaugurò la stagione neorealista, in modo definitivo lanciando
Anna Magnani, che si rivelò
attrice di bravura fuori dal comune.
Se Roma città aperta fu il film che aprì al cinema italiano
nuovi orizzonti tematici, narrativi e stilistici, pur conservando alcune
convenzioni del cinema precedente, in Paisà, realizzato l'anno
successivo (sempre con Fellini e Amidei come sceneggiatori), la rottura
col passato fu radicale. I sei episodi che lo compongono, descrivono,
infatti, l'avanzata alleata dallo sbarco in Sicilia alle foci del Po,
illustrando il rapporto tra la popolazione locale e le truppe alleate.
Paisà di Roberto Rossellini (1946) (1932) |
Il 1946 vide anche il successo di Sciuscià
di Vittorio De Sica, un racconto
strutturato con eccezionale equilibrio, sui lustrascarpe nella Napoli
del dopoguerra, mentre nella Berlino distrutta dalla guerra, un bambino
avvelena il padre e poi si uccide in Germania anno zero (1947) di Roberto
Rossellini. Nel 1948, viene girato Ladri di biciclette di Vittorio De
Sica, che racconta la triste domenica di un attacchino romano,
alla vana ricerca della bicicletta che gli hanno rubato: il suo indispensabile
strumento di lavoro. Dramma della disoccupazione dunque? No: qualcosa
di più profondo. Ladri di biciclette è il dramma della
solitudine e della presa di coscienza di questa solitudine: padre e
figlio, alla fine, si rendono conto di essere soli e di poter contare
unicamente su sé stessi e sulle loro forze. Sempre nello stesso
anno viene girato La terra trema, di Luchino Visconti sulla traccia
de i I Malavoglia Giovanni Verga. In Bellissima (Visconti
1951) Anna Magnani è la popolana stregata dal cinema, intestardita
a fare della figlioletta una diva; Umberto D. (1952) di Vittorio
De Sica è il punto d'arrivo del cinema neorealista, quasi un
racconto kafkiano, in cui la solitudine del protagonista, che
ha come unico compagno un cane, fa da filo conduttore ad una serie di
spaccati di vita quotidiana che mostrano chiaramente quanto fosse difficile
vivere nel dopoguerra.
Dopo questi splendidi saggi di bravura, il cinema neorealista sembrò
perdere mordente, e diventare meno fulgido e impegnato, con Pane,
amore e gelosia (Luigi Comencini,
1954), Gli innamorati (Bolognini, 1955), Il segno di Venere (Risi, 1955)
e La fortuna di essere donna (Blasetti, 1956), si parlò di "neorealismo
rosa", al quale però la critica, in controtendenza con
il pubblico mostrò di preferire il genere documentaristico, come
l'esotico Magia verde (Napolitano e Bonzi, 1953).