L'emigrazione degli italiani durante il fascismo
Ma se Mussolini nutriva ancora qualche speranza della temporaneità del fenomeno, o magari, cosa oggettivamente abbastanza improbabile, che una qualche eccezione
Ma se Mussolini nutriva ancora qualche speranza della temporaneità del fenomeno, o magari, cosa oggettivamente abbastanza improbabile, che una qualche eccezione venisse prevista per i lavoratori italiani, queste speranze venivano ben presto deluse. Qualche giorno più tardi, il 26 maggio, veniva emanata la legge Johnson.
Il nuovo Immigration Act, costituiva infatti una drastica restrizione, su base permanente, dei flussi immigratori, e fra i Paesi più colpiti era ancora una volta l'Italia, la cui quota annua veniva ridotta a meno di 4000 unità.
La legge venne considerata
da Mussolini un "vero e proprio insulto nei confronti dell'Italia".
L'avere preso come base per la valutazione delle quote il censimento
del 1890 privilegiava infatti in modo ancora più eclatante i
popoli della "first immigration". E l'Italia si sentiva discriminata
a favore dei Paesi del Nordeuropa, ivi compresi gli ex nemici come la
Germania, ed accomunata con gli indesiderabili dell'Europa orientale
e dell'Estremo Oriente.
Gravi ed estese furono comunque le ripercussioni della legge del 1924 sull'economia italiana. Tanto estese da provocare una svolta nella stessa politica migratoria del regime e da far presumere che nel Johnson Act trovi, se non i suoi presupposti, quanto meno una formale giustificazione il successivo espansionismo fascista. Il pregiudizio derivante dalle misure statunitensi in materia di immigrazione andava infatti ben al di là della difficoltà di collocare l'eccedenza di manodopera.
Fra l'altro, nel quadro di una situazione economica sempre più precaria, con i caratteri di una congiuntura inflazionistica, a drastica diminuzione delle rimesse degli emigranti contribuiva sensibilmente a peggiorare la bilancia dei pagamenti della quale aveva sempre rappresentato una voce importante. E, indirettamente, concorreva a mettere in pericolo tutta la politica economica e con essa la credibilità del regime, che nella solidità della lira aveva identificato il proprio prestigio, a livello sia nazionale che internazionale.
In ogni caso, il Johnson
Act chiudeva per sempre la fase storica della grande emigrazione italiana
ed occorreva trovare al più presto soluzioni alternative al divario
fra popolazione e risorse.