L'emigrazione degli italiani durante il fascismo
Ogni speranza era tuttavia destinata ben presto a cadere. Alle pressioni di Mussolini presso l'ambasciata americana a Roma per conoscere le reazioni di Washington alla propria
Ogni speranza era tuttavia destinata ben presto a cadere. Alle pressioni di Mussolini presso l'ambasciata americana a Roma per conoscere le reazioni di Washington alla propria proposta ed alle conseguenti sollecitazioni dell'incaricato d'affari, Gunther, per una risposta quanto meno interlocutoria, l'Ambasciatore americano rispondeva "di rendersi perfettamente conto dell'importanza del problema, e di riservarsi di tenere al corrente la sede di Roma, di ogni successiva istanza, che fosse stata avanzata dal nuovo ambasciatore a Washington, Caetani".
Accoglienza altrettanto negativa, ebbero nei mesi successivi i sondaggi di Caetani presso il Sottosegretario al Lavoro, J. Davis, circa un possibile maggiore assorbimento di manodopera agricola italiana, per colmare le carenze nel settore, denunciate dal Department of Agricolture.
Nessuna reazione ufficiale seguì alla conferenza stampa rilasciata ai giornalisti americani dal Commissario all'Emigrazione de Michelis, il quale, sottolineando che a fronte di 42.000 emigranti, che avevano ricevuto il visto di ingresso negli Stati Uniti, rimanevano oltre 200.000 domande inevase, esprimevano l'intenzione del governo italiano di rilasciare permessi di partenza, unicamente ad elementi reputati idonei, in funzione dei programmi agricoli ed industriali della Federazione.
Visto il fallimento degli approcci diretti con il governo americano, il duce prese allora l'iniziativa per una Conferenza Internazionale sull'Emigrazione, da tenersi a Roma nel maggio 1924, fra tutti i Paesi direttamente interessati al problema.
Il carattere strettamente tecnico e non diplomatico della conferenza, "il cui scopo era di stabilire alcuni principi basilari per le future convenzioni in materia di emigrazione" veniva ripetutamente sottolineato nel memorandum inviato al Dipartimento di Stato per sondare la reazione degli Stati Uniti all'iniziativa.
Per ovvie ragioni di "immagine" a livello internazionale, Washington non poteva declinare l'invito italiano. Tuttavia accettò con alcune sostanziali riserve. Doveva infatti rimanere inteso, che le discussioni sarebbero state soggette a certi limiti, come ad esempio il fatto che "l'accettazione degli immigranti costituiva una questione di politica Interna degli Stati Uniti, sulla quale era riconosciuta l'esclusiva autorità del Congresso" .In altri termini, conditio sine qua non era che non venissero messe in discussione le misure restrittive sull'immigrazione.
Tali riserve vennero accettate di buon grado dal governo italiano, che mirava ad assicurarsi ad ogni costo la partecipazione statunitense, senza la quale l'intera Conferenza sarebbe stata svuotata di ogni contenuto.
Il loro vero significato
apparve tuttavia chiaro alcuni mesi più tardi, quando vennero
presentati al Congresso, dai Senatori Reed e Johnson, due progetti di
legge, che prevedevano misure ancora più severe di quelle decise
con l'Atto del 1921.
Il memorandum italiano, nel quale veniva fra l'altro raccomandata l'ammissione
extra-quota dei parenti dei cittadini già residenti negli Stati
Uniti, rimase apparentemente senza risposta. Tuttavia, anche in vista
della prossima apertura della Conferenza sull'Emigrazione, Mussolini
tentò in tutti i modi di sdrammatizzare la questione, ponendola
su un piano di collaborazione internazionale.
Nel discorso inaugurale della Conferenza, pronunciato in Campidoglio il 15 di maggio, pur puntualizzando che "i Paesi di emigrazione non dovevano interferire nei problemi dei Paesi ospitanti cosi come i Paesi di immigrazione non dovevano estendere il loro intervento al di là del loro territorio", sottolineava la necessità che "da parte di tutti venisse attuata la più stretta collaborazione, affinché il trasferimento di individui da un Paese all'altro avvenisse con soddisfazione di tutti e nel reciproco interesse".
Formalmente il discorso era diretto a tutti e cinquantanove i Paesi partecipanti. In realtà, interlocutore principale era il governo degli Stati Uniti. Chiaro era il riferimento ai progetti di legge Reed e Johnson.