L'emigrazione degli italiani durante il fascismo
Quale riflesso delle istanze nazionalistiche insiste nella filosofia fascista, al disinteresse dei governi liberali si sostituì una presenza costante, intesa a fareQuale riflesso delle istanze nazionalistiche insiste nella filosofia fascista, al disinteresse dei governi liberali si sostituì una presenza costante, intesa a fare degli emigranti delle vere e proprie colonie italiane all'estero. Più precisamente, essi avrebbero dovuto costituire "una compatta forza politica, manovrabile dalle autorità di Roma per essere finalizzata ag1i interessi della madre patria".
Questa concezione era già stata anticipata, sul finire del 1921, dall'ambasciatore a Washington, Rolandi Ricci, il quale si era proclamato "guardiano della colonia italiana in America". La 'sinistra' impressione, provocata dalle dichiarazioni del diplomatico sull'opinione pubblica statunitense, che le aveva interpretate come un preteso conflitto fra gli interessi degli immigrati e quelli degli americani, era stata mitigata da un discorso del generale Diaz alla Italian Society di Baltimora, nel quale egli esortava gli italiani a rimanere tali nel cuore, ma al tempo stesso ad essere leali cittadini americani.
In ogni caso, solo poche settimane dopo la presa del potere, lo stesso Mussolini affermava esplicitamente che da quel momento in poi "gli emigrati avrebbero dovuto essere considerati mezzi di irradiazione delle idee e dei prodotti italiani, e l'emigrazione parte integrante della politica estera italiana".
Fu, del resto, nel quadro
di questa nuova concezione politica dell'emigrazione che il Commissariato
all'Emigrazione venne abolito come organo autonomo per essere riunito
al Ministero degli Esteri e, nel 1927, fu completamente soppresso e
sostituito dalla Direzione Generale degli Italiani all'Estero, nell'ambito
dello stesso Ministero.