L'emigrazione degli italiani durante il fascismo
Nell'atmosfera di sostanziale cordialità che caratterizzò i rapporti fra Italia e Stati Uniti durante il periodo fascista, il problema migratorio costituì il principale puntoNell'atmosfera di sostanziale cordialità che caratterizzò i rapporti fra Italia e Stati Uniti durante il periodo fascista, il problema migratorio costituì il principale punto di attrito, rischiando, in alcuni momenti, di deteriorare le relazioni anche sul piano diplomatico.
All'origine di tale attrito fu anzitutto un fatto oggettivo: la drastica riduzione dei contingenti di immigrati ammessi negli Stati Uniti. sancita dalle leggi americane del 1921 e del 1924, che determinò una grave crisi nell'economia italiana. Infatti, mentre, in precedenza, l'Argentina e il Brasile avevano costituito le mete privilegiate della forza lavoro italiana in cerca di occupazione, a partire dall'ultimo decennio del secolo XIX, l'America del Nord era diventata la valvola di sicurezza primaria al tradizionale squilibrio fra popolazione e risorse.
Ulteriore causa di frizione fu poi l'opposizione di Mussolini alla naturalizzazione degli emigranti italiani, che contrastava apertamente con la propensione statunitense ad una rapida assimilazione dei gruppi etnici esterni nel contesto demografico del paese, "in America - scrive un corrispondente dell'epoca - ci si doveva andare soltanto ed unicamente per diventare americani" .
Dopo una fase di assenteismo
dello Stato, fino ai primi del '900 ed una fase 'sociale' , che coincise
con l'istituzione del Commissariato all'Emigrazione, durante la quale
ci si limitò a tutelare l'interesse del singolo emigrante, senza
entrare nel merito del suo futuro status di cittadino, con l'avvento
del fascismo, l'emigrazione italiana in generale e quella verso gli
Stati Uniti in particolare entrò in una Fase "politica".