Le origini del dialetto latino
A differenza delle lingue delle altre regioni italiane, la tradizione linguistica nata nel Lazio è tutt'oggi viva e soprattutto diffusa in tutta l'Italia.
A
differenza delle lingue delle altre regioni italiane, la tradizione linguistica
nata nel Lazio è tutt'oggi viva e soprattutto diffusa in tutta l'Italia.
L'espansione romana, infatti, portò il latino, lingua preesistente alla
supremazia della città, in tutto il territorio italiano e in gran parte
del mondo occidentale.
Il latino nasce dalle frontiere meridionali dell'attuale regione Lazio,
e si espande verso nord durante l'epoca del ferro. Fu questo "protolatino"
a fornire il nocciolo più arcaico della lingua. Dai colli Albani, la lingua
si diffuse verso Roma innestandosi con influenze di origine indoeuropea,
provenienti da nord, e intorno al VII secolo il latino si fuse ulteriormente
con una corrente osco-umbra, che aveva la sua origine a Palestrina.
Con la caduta dei re di Roma, l'unità linguistica laziale, conseguenza
di quella politica, venne momentaneamente a mancare facilitando l'innesto
di influssi linguistici stranieri o dialettali. Avvennero, quindi, diversi
processi linguistici che portarono ad un notevole cambiamento nella lingua
originaria di Roma, che ricominciò ad espandersi, in maniera uniforme,
solo in l'epoca imperiale.
Le impronte specifiche del dialetto laziale sono date dalle metafonie
(cambi vocalici) delle vocali finali "i" e "u", così vecchia al maschile
diventa "viecchiu"; e delle vocali chiuse "e" e "o", così "vidi" sta per
"vedi", "vinti" per venti, "vui" per voi, e "munno" per "mondo".
Vi è comunque una sostanziale differenza tra la lingua di Roma e quella
del territorio laziale, che si esprime ad esempio nella diversa pronuncia
(aperta o chiusa) delle vocali "e" e "o"., così è possibile distinguere
tre aree fondamentali, quella di Roma, quella dei colli Albani e quella
degli Equi e dei Volsci.
Per quel che concerne le consonanti, la pronuncia rientra nei canoni dei
italiani dialetti centro-meridionali, così "quanno" sta per quando, "annà"
per andare, "gamma" per gamba, etc.; la consonante "b" cambia in "v",
così "vocca" sta per "bocca", "vraccio" per braccio; alcune lettere si
assimilano, come in "callo" per "caldo", "Ranallo" per Rinaldo.
Cambiano gli effetti della lettera "l" di fronte a consonante, così "colpo"
diviene "coipo", ma "salvo" diventa "sarvo", e "alto" cambia in "aitu"
o "falce" in "fauce". In alcune zone del Lazio, inoltre, il suono "lu"
cambia spesso in "ju", così "luna" diviene "juna".
I termini lessicali specifici del Lazio rientrano nei canoni marchigiani
e umbri, con l'aggiunta di "bardasso"
per ragazzo; "vago" per "chicco (d'uva)"; "ferraiolo" per mantello; "zappo"
per montone; etc. Tipici di Roma sono invece termini come "pennichella"
o "penneca" per sonnellino; "abbacchio" per agnello; "menà" per picchiare;
"ciocia" per ciabatta; tutti termini oramai entrati nel patrimonio linguistico
italiano, pur mantenendo forti caratteristiche dialettali.
Nella zona appenninica si trovano anche "morgio" per sasso; "messera"
per stamattina o stasera; "prisdema" per dopodomani.
La tradizione linguistica laziale è stata quindi più esposta di altre
ad influenze esterne, cosa che ha portato ad identificare la parlata regionale
con il dialetto romanesco, più caratteristico e riconoscibile. Ma le influenze
al di fuori della città sono state molte e diverse, lasciando una varietà
di parlate locali alquanto colorita.