Valéry e la danza
Fra l’Ottocento e Novecento si impone la figura del filosofo-poeta o del filosofo-artista, colui che intende e promuove il “sapere dell’anima”, che è una conoscenza dettata dal “sapere del corpo”.Fra l’Ottocento e Novecento si impone la figura del filosofo-poeta o del filosofo-artista, colui che intende e promuove il “sapere dell’anima”, che è una conoscenza dettata dal “sapere del corpo”. Il corpo pensante viene prima della ragione, cosicché la danza appare come la modalità più adeguata di espressione dell’essere, divenendo “attestazione dell’assoluto, momento originario del pensiero”. Paul Valéry espone questa concezione in alcune delle sue opere dedicate alla danza, dove vediamo che chi danza va a coincidere con la danza stessa, senza possibilità di distinzione, nel momento in cui riesce a cogliere e vivere dentro di sé l’Assoluto e la sua presenza. Danzare significa fondere le dimensioni fisica, psichica e spirituale, esprimendo un’unica realtà, divenendo così un simbolo, l’espressione coesa di tutte le componenti della persona. Per Valéry la danza è estasi, spostamento nel presente da un tempo quotidiano ad un tempo capace di “rendere presente l’eterno”. Afferma anche che per comprendere la danza occorre utilizzare “intelligenza e sensibilità”, qualità che vengono arricchendosi, nutrendosi della danza stessa, tanto nel danzatore che nello spettatore. Chi si dedica al ballo, per Valéry, incarna l’essenza stessa del pensiero, liberato da ogni vincolo linguistico, dialettico o concettuale. La danza è la forma che assume l’azione pensante per essere, è il pensare nell’atto stesso del suo prodursi. Nel suo svilupparsi come azione, crea il proprio spazio-tempo e, dando scacco al tempo, che costringe la persona nella sua fisicità, apre una porta sull’eterno e manifesta la costante tensione dell’uomo verso l’assoluto.